È un mattino d’inverno, piove sulle colline pistoiesi. Sto percorrendo una lunga strada sterrata, lasciandomi alle spalle le ultime case sotto ad un cielo così grigio che sembra fatto di cemento. Al termine della via, un grosso cancello in ferro battuto stabilisce che la mia destinazione è vicina; si trova proprio dall’altra parte. Vado a dare un’occhiata.
Dietro alle spalle la strada, sotto di me la valle ammantata di nebbia. Di fronte ai miei occhi sagoma minacciosa di un imponente edificio abbandonato, corroso dal tempo e soffocato dai rampicanti che mi attende al di là di quella enorme grata arrugginita. Sarà il clima scontroso, ma mi sento come se quel punto esatto fosse la linea di confine fra il mondo reale ed una zona periferica dell’inferno. In un certo senso è così: qui è dove la realtà si interrompe e ne inizia un’altra. Ci troviamo adesso nel 1943.
Alla ricerca di un’ingresso
Costeggiando il muro di cinta per qualche decina di metri, scopro che una parte di esso è crollata, consentendo l’accesso al perimetro interno. Questi sono i regali che ti fanno spesso i luoghi abbandonati. Approfitto di questa breccia per sconfinare nel giardino posteriore della villa. Ma non esito; vado subito alla ricerca di un ingresso.
I tentativi di impermeabilizzare questo luogo dalle visite sono stati numerosi e disperati. Tutte le porte e tutte le finestre sono state murate. Ma anche in questo caso, come un po’ di pazienza si riesce a trovare una ferita aperta nella quale insinuarsi. Un po’ per la pioggia, un po’ per la curiosità, entro senza attendere.
Quasi cent’anni di solitudine
Una volta all’interno della villa, riesco ancora a vedere il cielo. La parte centrale dell’edificio, dove sorgeva la torre, è stata fatta esplodere durante la seconda guerra mondiale per neutralizzare il ruolo strategico di questo luogo durante il conflitto. Ma questo non è l’unico compito che era stato affidato a villa Pian di Collina.
Nel luglio del 1943, come ampiamente documentato, questo luogo venne infatti identificato come uno dei nascondigli sicuri in cui trovarono asilo ad alcune opere degli Uffizi in fuga dai bombardamenti: furono ospitati alcuni lavori di Filippo Lippi, Rosso Fiorentino e Parmigianino (giusto per citarne alcuni).
Dalla fine della guerra la villa è sempre stata disabitata. Adesso è una sentinella immobile e silenziosa che sorveglia la valle, scrutandola notte e giorno con le sue orbite vuote.
Le uniche opere d’arte, ormai, sono gli intricati motivi creati da muffa, macerie e radici che fungono da sostegno per le pareti. Ogni intercapedine di questo luogo brulica di nuova vita, come se si trattasse di una creatura molto complessa giunta ormai al capolinea di un ciclo vitale basato su una moltitudine di organismi.
Detriti
Detriti ovunque. Non è rimasto alcunché all’interno di queste mura, eccetto una vecchia stufa arrugginita nel piano interrato. Questo luogo, un tempo così all’avanguardia (una delle prime abitazioni toscane ad avere l’elettricità) adesso non è che un rudere spoglio e silenzioso. Facendo attenzione, sul pavimento si possono ancora intravedere i frammenti degli affascinanti stucchi che decoravano queste sontuose stanze. Per qualche motivo, nonostante l’assenza di qualsiasi elemento, questo luogo sembra conservare ancora qualcosa che richiama un passato difficile. L’aspetto è quello tipico di una decaduta grandiosità.
A testimonianza di ciò, al centro dell’edificio, un’imponente scala coperta di polvere e detriti conduce ai piani superiori.
Pioggia
Fuori non smette di piovere. Di tanto in tanto si sentono i rumori di alcuni fuoristrada che arrivano fino al cancello; lo aprono, passano, lo richiudono. Ignorano la mia presenza. Anche gli altri piani sono spogli e pericolanti. La grandezza dell’edificio, unita all’uniformità degli ambienti conferita dall’abbandono hanno trasformato villa Beretta in una sorta di labirinto fuori dal tempo.
Nonostante gli anni di incuria, le scale sono abbastanza solide da consentirmi di avventurarmi fino all’ultimo piano. Da qui, la vista si apre su un incolto giardino all’inglese, costellato di statue e fontane che annegano ormai nell’erba alta.
L’esplorazione volge al termine. Mi concedo una rapida visita al giardino, prima di intraprendere la strada sterrata che mi porterà fino a valle.