Gennaio 2000.
Dev'essere questo l'anno in cui, qui, il tempo ha cessato definitivamente di scorrere. Ci sono ancora sul calendario alcuni appunti, perlopiù illeggibili. Macchie su carta lasciate da una vita piena di impegni, che contrasta in modo netto con la desolazione di questo luogo.
Ma facciamo un passo indietro.
Questa è la villa abbandonata del matematico: un luogo frammentato e misterioso ormai in rovina, ma che rappresenta ancora fedelmente il suo antico splendore. Qui, si continuano ad intravedere i segni del passato illustre del vecchio proprietario di casa, come in una fotografia sbiadita nel tempo che, da questo suo svanire lentamente, acquista ancora più valore e fascino.
Passato.
Incastonato come un vecchio dente cariato all'interno di una fitta boscaglia, nascosto e difeso da una vegetazione aspra, appare ad un tratto questo solenne e decadente edificio. Gli evidenti segni di abbandono e trascuratezza, non fanno altro che disegnare una chiara immagine di resistenza - che pare richiamare, peraltro, la decisione dell'antico proprietario di essere uno tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. È dunque tra rovi e spine, e tra urbex e storia che ci muoveremo oggi.

Presente.
Una volta di fronte al vecchio cancello arrugginito, il passaggio di proprietà è dichiarato apertamente: la vecchia recinzione in cemento e metallo, è stata sostituita da un muro verde di pruni e rampicanti. Non ci vuole molto per entrare, ma serve un'estrema calma per muoversi, una volta all'interno del cortile. Il giardino pare una foresta incolta, ma si riesce a percepire l'eco lontanissima di un ambiente curato e spazioso, al riparo dai rumori forti e dagli sguardi indiscreti. È praticamente impossibile muoversi liberamente: il passaggio è uno soltanto, e porta direttamente all'ingresso. Sulla soglia, un cartello mi avvisa: fabbricato pericolante. È un luogo pericoloso, dice, da cui stare alla larga. Ma io tutto sommato non gli credo. In fondo, è soltanto una vecchia casa, con l'aria scontrosa tipica di chi è stato lasciato da solo per troppo tempo. Attendo un segnale prima di entrare: ascolto il vento, i rumori, i miei passi sulle foglie. La quiete per me è un invito silenzioso. Mi accomodo.
Ci sono un solaio crollato ed una rampa di scale che concede ai visitatori di arrivare soltanto fino al primo piano. Gli altri sono interdetti per sempre. Mi muovo con cautela. Il suono dei miei passi sul pavimento, lascia trapelare l'esistenza di un altro piano interrato. Procedo con circospezione, passando sotto ad un tavolo che minaccia di cadere dal soffitto sfondato, e raggiungo la prima stanza, alla quale si accede attraversando una tenda logora.
La tenda che separa il caos dall'ordine.
In questa casa, ordine e caos non si mescolano mai. Una tenda rotta è il confine che li tiene separati. Più avanti, durante la mia visita, le altre stanze confermeranno questa impressione. Adesso mi trovo in un salotto arredato in stile novecentesco. Minuscoli granelli di polvere in sospensione, attraversati da qualche raggio di luce che entra dalla finestra, concorrono a creare un’ambientazione onirica e surreale. L'atmosfera è così strana che sembra illuminata artificialmente. Un vecchio divano retrò, una poltrona, una stufa, un televisore. La decadenza è palese: la si nota in ogni angolo della stanza: fra le pagine strappate disposte sul pavimento, la polvere ed i quadri appesi fra le crepe delle pareti verdi. Tuttavia, per qualche strana ragione, lo stoico arredamento conserva ancora la parvenza della sua originaria funzionalità, come fosse in attesa di un imminente ritorno.


I personaggi dei quadri.
Quasi ogni stanza è infestata dai quadri. Si dice sia stata la figlia del matematico a dipingerli, ma di questo non sono certo. Alcune sono nature morte, altre sono figure umane, spigolose e sottili, con le dita lunghe ed il volto cupo. Spesso dai colori forti e dal tratto marcato, arricchiscono l'abitazione con una nota di malinconico disagio. Penso che tali dipinti siano più adatti oggi a decorare queste pareti rispetto al passato. Alcuni sono appesi, altri sono disposti a terra, dentro alle scatole. Altri ancora si accomodano su divani, sedie e poltrone, come fantasmi che sorvegliano la villa nottetempo. Non mi sorprenderebbe saperli vivi quando cala la sera. Li vedo, mentre si aggirano per i corridoi cambiando la disposizione dei mobili e strappando le pagine dai libri.
C'è una stanza con un grosso camino, uno specchio, uno studio dove ancora si trovano i manoscritti del matematico. Ci sono ancora le sue formule, le sue riviste letterarie in italiano e francese, libri sulla natura e vecchie fotografie. Trovo che questo luogo, altro non sia che la materializzazione di quel che rimane dopo una vita piena: niente.


I due volti dell'abbandono.
Come precedentemente accennato, in questo posto l'abbandono ha due facce. Alcune stanze sono depositi di oggetti ammassati, o sono del tutto crollate. Ma è sufficiente aprire una porta per sintonizzarsi su un'altra frequenza della realtà, precipitando per sbaglio in una dimensione fuori dal tempo. Una camera con il letto rifatto, una culla, dei vestiti sistemati sulla sedia in attesa di essere indossati da qualcuno che, per qualche motivo, non ha mai fatto ritorno. Ma tutto questo non è gratuito; come ogni cosa ha un prezzo. I tributi da pagare sono il rispetto e la riservatezza.
Epilogo
L'esplorazione termina. Avevo dimenticato che, fuori da queste mura, splende un sole violento - ma la giornata sta volgendo al termine. Da lontano arrivano le voci di due uomini che sostengono una conversazione nostalgica.
In questa casa ho visto la fine che incombe come il giorno sulla notte: lenta, graduale ma inevitabile.
